SE LE BAMBOLE POTESSERO PARLARE
testo e regia di Antonio De Rosa
con Eva Immediato, Angelo Del Pizzo
scenografia Carmen Santoro
luci Alessandro Grasso
produzione avia pervia
Se le bambole potessero parlare è il primo studio di The architecture of violence, progetto teatrale nato da una riflessione sull’architettura della violenza ovvero sulla costruzione di spazi innaturali e repressivi, pensati foucoltianamente quali strumenti di potere. Di tali edificazioni e del loro pervertimento sono vittime i FRAGILI, i DIVERSI, i RECLUSI, protagonisti di una trilogia costituita da Se le bambole potessero parlare (1), Inferni fragili (2) e The architecture of violence (3); in cui, senza escludere il peso della parola, si celebra innanzi tutto il malessere e la tragedia del corpo ingabbiato-seviziato perché impari la disciplina.
A differenza di Inferni fragili, che si svolge in una casa-famiglia per malati di mente, inestricabile labirinto da cui il protagonista cerca di evadere con la forza delle sue parole, e The architecture of violence, che ci porta in una prigione-colombario in cui il potere giunge a una piena disponibilità dei corpi ridotti a oggetti, imbalsamati e incasellati, Se le bambole potessero parlare racconta una storia ambientata non in un’architettura definita dall’inizio, piuttosto in un percorso obbligato e fatale che non dà scampo a una prostituta di nome Eva, e che ha esito nella costruzione in scena di un patibolo-golgota a opera del protettore-aguzzino della donna. Nell’irreparabile sacrificio finale, con deposizione dei protagonisti in un cassonetto per la spazzatura in funzione di sepolcro, i confini tra vittima (la prostituta) e carnefice (il protettore) tendono ad annullarsi: l’oppresso, abbrutito dalle violenze, tradisce pulsioni autolesionistiche e una potenziale ferocia; l’oppressore finisce invece per mostrare pieghe di fragilità e l’orrore della solitudine, che lo spinge, rimasto privo del bersaglio dei supplizi, a cercare un destino analogo a quello di chi ha subito il martirio.
La storia di Eva è ellittica, incentrandosi esclusivamente sulla giovinezza ricca di voglie e aspettative, e sulla morte cruenta, quasi inesorabile conseguenza del forte sentire. Tra questi due atti, il primo fondato soprattutto sulla parola, il secondo sull’azione, cade un intermezzo in forma di monologo in cui la prostituta-messia si carica del destino di tutte le donne (e in generale dell’umanità fragile e dolente), quelle donne che hanno “ferite che non la smettono di sanguinare”.
Scritto e diretto da Antonio De Rosa, lo spettacolo vede in scena Eva Immediato, nella parte della prostituta, sempre in equilibrio tra sofferenza e follia, rabbia e tenerezza, e Angelo Del Pizzo, nella parte del protettore implacabile e bestiale, almeno fino alla perdita dell’oggetto delle sue sevizie. La scenografia è di Carmen Santoro. Le luci sono di Alessandro Grasso. L’organizzazione generale è a cura di Tonino Lioi.